Alla fine la casa al settimo piano ha avuto la meglio. Non cambierà molto. Sembra che in questa città esistano solo appartamenti di questo genere, come piccoli formicai asiatici, più o meno puliti. O forse sono io che vengo attratto da soluzioni di questo tipo, quando il mio lato riflessivo e pacato (quasi asiatico definirei) prende il sopravvento.
Ho sempre vissuto i traslochi con un po’ d’ansia. Anche se il numero di cose di mia proprietà è limitato il più possibile, dovuto più che altro all’irrequietezza perenne e al senso di oppressione che gli oggetti mi trasmettono, inevitabilmente negli ultimi giorni sono iniziate a saltar fuori cose che non ti ricordi nemmeno di possedere. Cose di cui faresti volentieri a meno, ma che allo stesso tempo non vorresti abbandonare. Proprio per questo realizzi quanto gli oggetti di cui ti circondi ti rendano schiavo. Migliaia di piccoli cose o parti di cose, che molto spesso prese singolarmente non hanno neppure un senso compiuto, rappresentano la tua vita temporanea nel luogo dove stai vivendo, sempre temporaneamente, e devono essere spostate in un’altra sistemazione provvisoria. E’ strato pensare che quel poco che hai può essere compresso in due o tre bagagli. Provi spaesamento e capogiro, ti senti piccolo e indifeso. E’ tutto lì, oggetti dal valore troppo prezioso quando non si ha altro ma allo stesso tempo cose infime e sostituibili.
Fortunatamente tutto si è esaurito in un notte un po’ insonne e due ore di trasloco a piedi, tra le vie del centro e i grattacieli, con valigie e qualche sacchetto extra. Pensavi che un giorno tutto questo, che ti fa sentire un po’ randagio e un po’ barbone sarebbe finito, ma forse non è arrivato ancora il momento, o forse non è così, e magari non finirà mai perché è nella natura delle cose.